sabato 28 settembre 2013

Un anno da au pair: manuale di sopravvivenza

Ho trascorso gli ultimi 11 mesi in una tranquilla località inglese famosa per il suo castello maestoso, il verde dei parchi e il fiume con i cigni bianchi. Tutto è iniziato quasi per caso. Stanca di frequentare l'ennesimo corso regionale, privo di concreti sbocchi occupazionali, ho deciso di iscrivermi al sito internet www.aupair-world.it,  che mette in contatto le aspiranti au pair con famiglie di ogni dove. Ho inserito sul sito una mia foto e una breve descrizione degli studi e delle esperienze lavorative connesse al tipo di attività che sarei andata a svolgere. Dopo 2 giorni ho ricevuto una richiesta di contatto dalla famiglia inglese che mi ha ospitato e sono diventata in brevissimo tempo, quasi senza avere il tempo di realizzare cosa mi stesse accadendo, un'au pair. Appena arrivata in Inghilterra mi sono iscritta ad una scuola privata inglese che organizza corsi per stranieri. Credo che la frequentazione di un corso in lingua sia di fondamentale importanza per che vive quest'esperienza. A differenza di chi trova un impiego in caffetterie, pub e negozi, l'au pair trascorre, infatti, gran parte del suo tempo con i bambini, che, nel caso di genitori molto impegnati e poco presenti, rischiano di diventare gli unici interlocutori con cui esercitarsi a livello linguistico. Le prime espressioni che si imparano sono proprio legate alla quotidianità vissuta con loro in famiglia ( nappy, dummy, wee-wee, potty, buggy...). Il rapporto che si viene a creare con i bambini è molto bello, ma impegnativo. Non vi stupirete se i genitori decideranno di trascorrere qualche weekend fuori città lasciando i bambini a casa con voi, o usciranno la sera per andare a cena fuori, chiedendovi di fare baby sitting. In Inghilterra è molto comune. I bambini vanno a letto molto prima che in Italia (19.30-20.00), dopo aver cenato e fatto il bagnetto.
Qualche consiglio per tutte le ragazze e i ragazzi (nel rispetto della parità tra i sessi esistono anche i "ragazzi alla pari") che vedono l'esperienza da au pair come la giusta opportunità per conciliare la necessità di imparare l'inglese con quella di guadagnare qualcosa.  
Una delle differenze che noi italiani avvertiamo immediatamente quando ci trasferiamo in l'Inghilterra interessa il clima. Il sole lascia il posto alle nuvole e piove spessissimo. L'ombrello è d'obbligo, è risaputo, ma soprattutto, bisogna cercare di pensare all'obiettivo della nostra permanenza, accettando il tempo per quello che è, e trasfomare l'instabilità atmosferica in un argomento di cui  conversare con il vicino di casa, il commesso del negozio, o il passante incontrato per strada.
Oltre che dagli effetti della mancanza di luce naturale, l'umore risulta influenzato anche dalle diverse abitudini alimentari. Si sente presto la nostalgia di una buona pizza, soprattutto se si abita in un piccolo centro e non a Londra. A me è capitato di vivere con una famiglia  che cucinava molto spesso pasta, e al mattino potevo prepararmi il caffè italiano, ma questa non è la regola. Nei supermercati inglesi il reparto dei cibi precotti e surgelati è davvero vasto e assortito. Si tende sempre più a risparmiare tempo (considerato preziosissimo) e il microonde è diventato un elettrodomestico immancabile nelle cucine anglosassoni. Oltre a tutti quei prodotti che da noi sono molto comuni, quali pizza, pasta, pane e focacce, vi mancherà, ben presto, anche un buon espresso. L'ho provato in molte caffetterie diverse, ma è sempre troppo lungo!! Chissà, magari, dopo aver assaggiato il caffè deciderete di darvi al tè con il latte, bevanda tipicamente inglese. Probabilmente vi stupirete vedendo per strada le signore praticare la corsa con il passeggino e vi chiederete come facciano gli inglesi ad essere così in forma, nonostante il consistente consumo di burro. Sarete, inoltre, sicuramente colpiti dalla quantità di volte in cui si scusano per strada, per qualsiasi cosa. 
Dopo i primi tempi, si inizia ad "entrare" nei nuovi ritmi e a non pensare più con ossessione al cibo (in ogni conversazione a scuola si finiva per parlare di pizza, mozzarelle, pasta, parmigiana...), mentre il lavoro inizia a diventare relativamente più semplice. I bambini si affezionano all'au pair, che, nel frattempo, è diventata per loro un membro della famiglia sempre presente e una compagna di giochi, in grado anche di preparare piatti gustosi. Ma non è tutto così automatico. Conquistarsi la fiducia dei bambini può risultare difficile, soprattutto se non accettano di buon grado il fatto di essere affidati ad una persona che inizialmente non conoscono e parla un'altra lingua. La pazienza è una qualità preziosa per svolgere questo lavoro, così come è necessario essere flessibili e avere spirito collaborativo. Di solito ci si alza presto al mattino per accompagnare i bambini a scuola, quindi, essere pigri non aiuta affatto.  Molto spesso capita di dover guidare la macchina di famiglia, con il clima invernale può essere una necessità. Per me inizialmente è stato un incubo, perchè vi assicuro che guidare dall'altro lato della strada, con il cambio al contrario, non è la cosa più semplice del mondo. Se gli specchietti potessero parlare!! Ma ci si abitua anche a questo. Ci si mette alla prova ogni giorno e si superano paure ed insicurezze. Forse questo è l'aspetto che può essere ritenuto più importante quando si vive un'esperienza del genere. Al di là dei piccoli problemi che possono sorgere nelle relazioni con la famiglia ospitante, o delle incomprensioni dovute alle differenze culturali, si ha la possibilità di affrontare i propri limiti, superandoli, ci si spoglia di certezze e convinzioni assunte a priori, aprendosi al confronto, oltre che all'incontro, con l'altro. Bisognerebbe considerare  quest'esperienza come un momento di crescita e arricchimento. Le difficoltà non mancheranno, ma nasceranno, di sicuro, anche delle belle amicizie multiculturali.



domenica 15 settembre 2013

L'arte del retablo nella cultura di frontiera

Nel corso del Novecento si avverte la necessità di riconoscere la natura composita della letteratura amiricana, che per lungo tempo la critica occidentale ha considerato all'interno di uns tradizione culturale unitaria. In particolare, negli anni Sessanta, la comunità chicana manifesta la volontà decisa di delineare un canone narrativo, che sia in grado di esprimere una propria identità culturale, non soltanto compatta, ma anche autonoma rispetto alla narrativa ufficiale statunitense. Negli anni Ottanta, come accade a molti gruppi radicali, anche il movimento chicano per i diritti civili si trasforma in un vero e proprio studio, che è possibile collocare nel campo di indagine dei Border Studies
Lo sviluppo dei Border Studies, filone di ricerca che si inserisce nell'ambito più generale dei Cultural Studies, si deve ricondurre alla complessità assunta dalla nozione di frontiera nel Sud Ovest degli Stati Uniti. 
In una realtà come quella odierna, in cui la cultura migrante e liminare si va sostituendo all'identità nazionale statica e definita, lo spazio non può che rendere possibile la negoziazione, nel tentativo di superare la polarità. 
La singolare condizione del vivere in-between (Bhabha 1994) caratterizza l'esistenza della popolazione messicana americana sin dalla firma del trattato di Guadalupe-Hidalgo, nel 1848. Allo stato di perenne transizione si è aggiunto l'assoggettamento attuato, nel corso del tempo, da parte della cultura dominante angla, tesa ad inglobare in un ampio crogiolo le identità etniche minori. Nonostante ciò, con il trascorrere degli anni l'identità frontaliera dei messicani americani si è rafforzata, giungendo alla costituzione, negli anni Sessanta del Novecento, del Movimento Chicano.
L'orgoglio identitario ha portato i chicani alla riscoperta delle proprie espressioni artistiche e alla rivalutazione delle radici culturali, che sono alle origini del Messico. Oltre al teatro e alla letteratura, uno dei campi che ha dimostrato di essere maggiormente interessato alla pratica del border crossing (pratica di attraversamento della frontiera) è quello artistico. 
Nonostante le espressioni relative all'arte visiva messicana siano numerose e diversificate, è possibile riscontrare alcune espressioni che affiorano sia nell'arte "povera", che in quella "colta", legata ai movimenti d'avanguardia. Gli artisti sono, infatti, accomunati dal rappresentare, attraverso degli originali dipinti votivi realizzati su metallo (i retablos), le innumerevoli difficoltà che i messicani incontrano sin da quando si trasferiscono negi USA. L'abbandono dei propri affetti, la clandestinità, le malattie sono solo alcuni dei temi affrontati, che, grazie anche all'utilizzo di colori vivaci ebrillanti, si connotano di una forte carica emozionale.
L'analisi dei retablos realizzati dai migranti messicani, condotta da Jorge Durand e Douglas S. Massey in Miracles on the border: retablos of Mexican migrants to the United States (1995), rappresenta un importante strumento al fine di comprendere in modo più approfondito le peculiarità della vita sulla frontiera. Consente, inoltre, di cogliere alcuni aspetti di queste opere devozionali, che è possibile riscontrare anche in alcuni dipinti di Frida Kahlo (1907-1954).
L'artista messicana, famosa anche per il temperamento tormentato e passionale, dipinge dei retablos che, pur essendo ispirati da alcune esperienze drammatiche del suo vissuto (l'aborto, il dolore fisico provocato da un incidente...), sembrano attingere chiaramente alla tradizione dei dipinti votivi "popolari". Il più emblematico per descrivere la singolare posizionalità delle identità che si vengono a definire sulla frontiera è Autoritratto al confine tra Messico e USA (1932), in cui, ancora una volta, lo spazio di passaggio, non delimitato, aperto verso un altrove e un circostante (Montinari, Nergaard 2001) assume un ruolo fondamentale nella rappresentazione.

mercoledì 20 marzo 2013

Studi sul significato dell'opera d'arte: Panofsky e il metodo iconologico


La ricerca incessante del significato intrinseco dell'opera d'arte ha condotto Erwin Panofsky, ricordato come uno dei più geniali storici dell'arte del ventesimo secolo, ad attuare una vera e propria rivoluzione metodologica. Lavin, critico dell'arte allievo di Panofsky, riconosce all'intellettuale tedesco il merito di aver ampliato la prospettiva dell'indagine storico-artistica, ponendo il valore puramente estetico solo in secondo piano, rispetto al quello che definisce come lo «studio del significato della storia delle immagini, inteso nella sua accezione più profonda».
Proseguendo nel percorso già intrapreso da Aby Warburg, Panofsky, che in (1939) Studies in Iconology utilizza ancora il temine iconografia per definire la disciplina volta alla comprensione del significato, sostituisce il concetto con quello di iconologia, più adatto alle finalità interpretative.
In The meaning in the visual arts (1955) l'autore, dopo aver riconosciuto l'inadeguatezza del vocabolo iconografia (da greco graphein, scrivere), più adatto all'ambito descrittivo che ermeneutico, predilige, al suo posto, il sostantivo iconologia (il suffisso -logia deriva dal greco logos e si può tradurre con intelletto, ragione), nell'accezione di:
un'iconografia che vuol essere anche interpretazione e in questo modo diviene parte integrante dello studio dell'arte invece di essere confinata al rango di ricognizione statistica preliminare. (Panofsky: 1962, p.37).

Livelli di significato

Per delineare il suo metodo iconologico e spiegare la differenza tra forma e significato, Panofsky si serve dell'esempio, ormai celebre, del conoscente che lo saluta per strada togliendosi il cappello. Questo gesto, comune nell'esperienza quotidiana, viene convenzionalmente interpretato come un saluto, ma, a seconda del punto di vista di chi lo osserva, comunica una molteplicità di significati, stratificati secondo tre livelli:
  1.  Il significato primario o naturale è immediatamente percepibile e scaturisce dall'individuazione degli oggetti di utilizzo quotidiano, posti in rapporto con azioni ed eventi (significato fattuale), e dalle espressioni che accompagnano i gesti (significato espressivo). Rapportato al contesto dei fenomeni artistici, il soggetto primario può essere identificato con la descrizione preiconografica, tesa a comprendere i motivi artistici di un'opera.
  2.  Procedendo più in profondità nell'universo della significazione, incontriamo il soggetto secondario o convenzionale. Questo significato non è dato dall'esperienza sensibile, ma si fonda sull'analisi dei legami che si ottengono dalla combinazione dei motivi artistici (storie e allegorie) con i temi (ciò presuppone la conoscenza dei testi letterari). Ci troviamo nell'ambito dell'iconografia, a cui è possibile ricondurre l'analisi formale teorizzata da Wölfflin.
  3. Il terzo livello si fonda sulla ricerca di quei valori simbolici, come li definisce Cassirer, o principi di fondo, utilizzando la terminologia di Panofsky, che rivelano l'atteggiamento fondamentale di una nazione, un periodo, una classe, una concezione religiosa o filosofica, qualificato da una personalità e condensato in un'opera. 

  Intuizioni sintetiche


Questo principio di fondo, identificabile con il significato intrinseco o contenuto, coincide con l’obiettivo a cui tende l’iconologia, cioè l’analisi di come le tendenze essenziali dello spirito umano sono espresse. Strumento d’indagine indispensabile per raggiungere tale scopo risulta essere l’intuizione sintetica.
Quando un individuo saluta togliendosi il cappello, ad una preliminare analisi formale, fondata sull’individuazione di elementi cromatici e lineari, segue il riconoscimento di un oggetto dell’esperienza (L’uomo), che appare in relazione con un evento puntuale (l’azione di togliersi il copricapo). Questo livello di senso afferisce ancora alla sfera del significato fattuale, ma risulterà corredato dalle informazioni di carattere psicologico, che saranno attribuite all’uomo per empatia (significato espressivo).
Siamo in grado di interpretare l’azione come saluto perché possiamo contare sulla conoscenza della pratica, diffusa nel mondo occidentale, e risalente al Medioevo, di manifestare intenti non belligeranti sollevando l’elmo.
Il saluto, considerato gesto cortese e volontario, si presta ad una lettura più profonda. Inoltre il clima storico-culturale, che accomuna le nostre conoscenze e i nostri valori con quelli dell’individuo incontrato, ci consente di arricchire con ulteriori informazioni l’interpretazione dell’evento. Scrive Panofsky:
[…] Il significato così scoperto può essere chiamato significato intrinseco o contenuto; ed è un significato essenziale, mentre gli altri due generi di significati, quello primario o naturale e quello secondario o convenzionale sono fenomenici. Lo si può anche definire come un principio unificante che sta dietro e spiega tanto l’evento visibile che il suo significato intelligibile e determina perfino la forma in cui l’evento visibile si configura. (Panofsky: 1962; p. 33).